Trattamenti riabilitativi donne con disturbo da dipendenza patologica e vissuti traumatici, anche associati a disturbi psichiatrici

Un modo tutto al femminile, quello di Pandora. Essere figlie, madri, compagne con tutto il carico emotivo che tali ruoli comportano,  ognuna con la propria storia, difficile, delicata. Sentendosi spesso di esistere se non in funzione dell’altro, nel laboratorio si abita la fatica ad ascoltare la propria voce interiore, a nutrirsi in modo autonomo. Si tocca con mano la fatica a contattare il proprio centro, percepito come un vuoto pauroso da dover assolutamente riempire. Ebbene, il processo creativo parte proprio da qui: da un vuoto. Che sia un foglio bianco o un pezzo di creta, è il punto d’inizio (informe, indefinito) dal quale necessariamente partire imprimendo la nostra personale energia, la nostra traccia, per dare vita a qualcosa di unicamente nostro. Il vuoto non partecipa solo al processo creativo che genera la forma, ma genera il processo stesso. Il vuoto è là dove il processo si genera e rende possibile che il processo si generi. Il processo creativo fa emergere contenuti rimossi, traumi che ancora hanno “parola”, procede per tentativi ed errori, sperimentazioni, talvolta provoca frustrazione, ma offre anche inattese scoperte. Il processo diviene serbatoio di infinite possibilità, rinforzando la capacità di progettare nuovi modi di essere e di esserci, nel qui e ora. Tutto ciò consente di mettere in gioco parti di noi che, per schemi acquisiti ormai disfunzionali, non giochiamo mai e di scoprire con stupore aspetti di noi che non conoscevamo. Ed è proprio “abitando e arredando” quel vuoto con le nostre personali risorse, che si sviluppa questo percorso così delicato. Si affina l’attesa, la pazienza e la cura per ciò che ancora deve maturare, e si prende coraggio nel provare e riprovare, a (ri)partire da noi stesse.

IL FILO DI ARIANNA – dal labirinto alla fiaba – settembre 2022 / gennaio 2023

A partire dal mito di Teseo e Arianna proviamo a riscriverne il finale. Cosa accadrebbe se Arianna invece di tenere il filo fuori dal labirinto per “l’eroe salvifico” creasse il proprio labirinto e provasse ad entrarci dentro? Un labirinto che simbolicamente si compone di spazi apparentemente limitati, geometrici, ben definiti ma in cui è possibile intraprendere un viaggio oltre quel limite, in una dimensione ancora tutta da esplorare. Durante il viaggio l’incontro con alcuni personaggi delle fiabe classiche aprono un dialogo e diventano il pretesto per incontrare l’altro, quindi parti di noi che vorremmo coltivare e nutrire, altre lasciar andare. Ed è qui che prende vita una nuova narrazione composta da parole e immagini (tavole illustrate) rilegate, ovvero tenute insieme, da quel filo…”

Strutturazione degli incontri:

  • narrazione e riflessione sul mito Teseo e Arianna
  • raccolta e messa a disposizione di diversi libri illustrati di fiabe classiche, con la possibilità offerta alle ospiti della struttura, di poter inserirne di nuove, magari provenienti dalle loro culture d’origine;
  • prima tavola illustrata: creazione del “labirinto”.
  • Ad ogni incontro successivo è stata realizzata l'”illustrazione” di uno o più personaggi della fiaba scelta (con la possibilità di spaziare tra fiabe diverse). Il dialogo con i vari personaggi illustrati incontrati nel labirinto ha evocato ricordi, affetti, esperienze vissute che sono state condivise in gruppo, e hanno permesso di dar vita ad una narrazione, ovvero alla “fiaba” personale di ogni partecipante. Le illustrazioni sono state rilegate, tenuta insieme, con il “filo di Arianna”.

Il progetto si è svolto a partire da fine settembre e si è concluso a gennaio 2023.

Hanno partecipato al progetto 15 donne, ognuna delle quali ha  creato la propria fiaba contenente circa 6/7 illustrazioni ciascuna.

Liberamente ispirato a Shamsia Hassani25 novembre 2021 – Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne

Anche nella comunità terapeutica femminile Pandora abbiamo deciso di prepararci alla riflessione su questa giornata stimolando le ospiti della struttura, attraverso la progettazione e la realizzazione di 4 tele liberamente ispirate alle opere della street artist afgana Shamsia Hassani.

*Shamsia Hassani.

Giovanissima stree art (33 anni) nota a livello internazionale grazie ai suoi graffiti realizzati per le strade di Kabul,nata in Iran da rifugiati originari di Kandahar, è rientrata in Afghanistan nel 2005, anno in cui si è laureata in Belle Arti all’Università di Kabul dove ha anche una cattedra di Arte e Disegno Anatomico. Shamsia è un’artista donna e già per questo, considerato il ruolo delle donne nella storia dell’arte, è il primo messaggio positivo sul quale riflettere. L’arte come strumento d’espressione e valorizzazione di sé.

E’ un’artista che ha il coraggio di proteggere e denunciare la condizione della figura femminile attraverso opere lasciate sui muri del proprio paese. Lavora in maniera fortuita, veloce, per paura di essere scoperta e punita.

Le immagini rappresentano tutte donne con gli occhi chiusi (paura che non ci sia niente di buono da vedere) e senza bocca (paura/impossibilità di parlare/denunciare) ed in tutte le opere sono presenti elementi simbolici di forza, speranza e coraggio (ex soffione, albero, barca, cuore, ect)come un continuo tentativo di dare voce ai sogni delle donne, alla loro volontà di portare cambiamenti positivi nelle loro vite.

In molte opere è presente uno strumento musicale deformato che le dà la capacità e la sicurezza di far suonare la sua voce con forza”.

Fasi del progetto:

            – presentazione dell’artista Shamsia Hassani (biografia, opere);

  • scelta di un’opera dell’artista stampata in bianco e nero dalla quale poi sviluppare il lavoro;
  • creazione di piccoli gruppi di lavoro (parole e immagini simboliche, riflessione e confronto: quale messaggio vogliamo veicolare con questa opera?)
  • bozza del disegno e inizio del lavoro con acrilici su tela: immagine in “bianco e nero” con particolare rosso.

Le tele realizzate sono poi state consegnate alle comunità maschili EOS e L’Approdo, e a quelle miste di Matrix, Drive e Restart, come regalo e come momento di riflessione su questo tema importante.

Dipingo ciò che vedo.  Disegno en plein airAgosto 2022 Acquerino

Fuori dal consueto setting dell’arteterapia, esploriamo le possibilità che offre il disegno in en plein air (letteralmente all’aria aperta)  cercando di cogliere le sfumature che la luce e le ombre producono sui particolari che scegliamo di dipingere. Lo facciamo insieme, educatori ed ospiti della struttura, organizzando un’uscita dell’intera giornata all’interno della meravigliosa faggeta dell’Acquerino. Arrivati scegliamo un posto dove sederci e restiamo in ascolto di ciò che c’è: colori, forme, suoni, sensazioni. Sul foglio bianco diamo forma alla vera essenza delle cose, attraverso l’osservazione diretta della realtà, nel qui e ora. A fine mattina raccogliamo i lavori fatti ed è proprio il tronco di un maestoso e antico faggio a tenerli assieme con un filo. Ognuna delle ragazze sceglie come legare il proprio lavoro a quello dell’altra compagna o dell’educatrice. A volte il filo passa teso e dritto tra un’immagine e l’altra, altre ancora c’è bisogno di fare un nodo o un fiocco per tenere, collegare. Ci sediamo in cerchio e osserviamo l’installazione creata, la commentiamo.

“Anche se la finestra è la stessa non tutti quelli che vi si affacciano vedono le stesse cose: la veduta dipende dallo sguardo” Alda Merini.

Aprire il vaso di Pandora – Mail art25 novembre 2023 Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne

Il mito di Pandora, dal quale prende il nome la comunità terapeutica, diventa il pretesto per  dar voce al femminile. Non tutte le ospiti della struttura conoscono il mito, per cui insieme in cerchio, lo ripercorriamo, narrandolo. Attraverso questo viaggio mitologico riflettiamo sulle “virtù femminili” che gli Dei donarono a Pandora e sui “mali” racchiusi all’interno del vaso (donatogli da Zeus). Mali che escono fuori proprio per “la curiosità che è donna”, tranne la speranza, rimasta sul fondo del vaso e poi restituita all’umanità quando finalmente Pandora deciderà di riaprirlo. Ed è proprio a quel punto della narrazione che iniziamo ad immaginare la forma, la qualità di questa speranza, e “aprendo il vaso di Pandora” attraverso il processo creativo, proviamo a farla viaggiare nel tempo e nello spazio per raggiungere, metaforicamente, tutte le donne del mondo. In che modo? E’ stato chiesto alle ospiti della comunità terapeutica di realizzare una o più cartoline (immagine e testo) con l’obiettivo di inviare un messaggio “fuori”, sul tema della resilienza della donna. Nel realizzare le immagini ci hanno guidato i ritratti di donne fatti da alcuni artisti famosi e i molti ritratti realizzati dalle donne del mondo dell’arte, nel corso della storia (Picasso, Modigliani, Hülya Özdemir, Frida Kalho, Tamara de Lempicka, Shamsia Hassani, ect). Con i lavori è stato creato un allestimento permanente all’interno di uno dei corridoi della struttura, un work in progress dove i nuovi ingressi se vogliono, possono lasciare il loro messaggio. Al progetto hanno lavorato per due mesi 17 donne.   

Ri-cucire – Lavoro con le stoffe

Molto spesso ci capita di sentire che la nostra vita o parti di questa è fatta come un patchwork, un insieme di tanti pezzi di stoffa differenti che ne compongono la trama. In diversi momenti del nostro percorso di crescita, sopratutto in quelli più delicati, siamo chiamati a trovare il modo di tenerli insieme, cercando il più possibile di armonizzare colori, texture, e provando a dar loro una nuova forma che abbia un senso, per noi. In riferimento a questo l’arte tessile assume la connotazione di una vera e propria metafora di diverse esperienze umane. Se ci pensiamo bene anche il nostro linguaggio è pieno di modi di dire legate al mondo della tessitura. Espressioni come “la trama del racconto o del film” o “dare filo da torcere”, “tirare le fila” o “riprendere il filo del discorso”, “ho i pensieri aggrovigliati”, sono tutte facilmente riscontrabili nelle comuni conversazioni. Nasce da qui l’idea di utilizzare l’arte tessile anche all’interno del laboratorio con le donne, mettendo a disposizione un campionario di tessuti diversi che da subito diventano un mediatore potente da sperimentare, e che apre infinite possibilità.

In che modo? A partire dall’esperienza, dal fare: scegliere le stoffe in base al colore, la texture o la consistenza, tagliare, buttare via ciò che non serve, ricucire gli strappi, incollare. Fili tesi, attorcigliati. Fili come legami. Intrecciare fili e incontri con altre persone con le quali sentirsi collegati da impercettibili trame comuni che danno il senso di appartenenza. Si sta insieme intorno ad un tavolo, intorno a qualcosa, proprio come le donne (le nostre nonne magari) facevano una volta, uno stare insieme attraverso materiali diversi, con uno stesso senso comune e la voglia di appartenere ad un gruppo, creando un racconto, un modo di raccontarci. Si sta intorno ad un tavolo iniziando a creare un lavoro individuale, ciascuna il suo, per poi ritrovarci di nuovo e assemblare le varie parti in un tutto, dando vita così a particolari “arazzi” contenenti motivi narrativi e simbolici che vengono appesi alle pareti nella sala tv della struttura. Dietro ad ogni manufatto ci sono le mani, che danno forma, corpo, attraverso alla manipolazione delle stoffe, che l’hanno realizzato. E ogni opera conserva le tracce delle loro autrici che ci parlano di loro. Un mondo evocativo, quello tessile, incredibile.

GRANDEZZA TESTO