Dietro il fenomeno della dipendenza la difficoltà di percepire le proprie emozioni e l’uso della parola come difesa sono comuni a quasi tutti i soggetti che nel tempo hanno finito per costruire rigide difese dalle tonalità scure, dove le emozioni sono sedate, anestetizzate dalla sostanza/l’alcol/il gioco d’azzardo e dalle sofferenti storie di vita. Immaginiamo di entrare con delicatezza in questi angoli “bui” e lasciarsi immergere da colori, forme, tracce, in vissuti che tornano a galla e iniziano a schiudersi. Attraverso il linguaggio simbolico, è possibile contattare e riconoscere a poco a poco le proprie emozioni, ristabilire un dialogo con aspetti autentici di sé. Ciò avviene in un una forma “protetta”, in uno spazio che offre un contenitore a contenuti latenti, così difficili da essere espressi in modo diretto e che simbolicamente diventano un modo di comunicare più efficace e meno minaccioso della parola. La compulsività ed il bisogno di controllare gli eventi, si trova a fare i conti con le potenzialità racchiuse nel processo creativo, in quel “fare” ricco di imprevisti. Il gruppo attiva in modo rispettoso e non giudicante la nascita di nuove dinamiche interpersonali, in quanto la condivisione di vissuti manifesti nei lavori, attenua sentimenti di solitudine.
Maschere in scena
Dalla creazione della maschera alla sua messa in scena
In arte Pinocchio
Dall’informe alla forma Con-creta-mente
Il lavoro con la creta viene ciclicamente proposto agli ospiti, sfruttando durante la bella stagione, gli ampi spazi verdi esterni della struttura. Ma quali sono le sue qualità? La creta è tra le sostanze plastiche più antiche, a ben vedere non si tratta altro che di fango, quindi per lavorarci bisogna “sporcarci le mani”. Ciò che la rende incredibilmente affascinante è la sua qualità trasformativa: plasmabile all’infinito, si può aggiungere o togliere materia, modellare, modificare. E’ materia “viva” che riceve e conserva l’impronta di qualsiasi nostro gesto, ed è lo stesso nostro gesto a poter modificare quell’impronta ricevuta.
Serve energia per trasformarla, ma la al tempo stesso è duttile, e la sua morbidezza rende il cambiamento di forma fluido e delicato durante tutto il processo creativo. Si trasforma sotto i nostri gesti, si lascia plasmare, ma ti suggerisce anche come essere plasmata. Ciò che si crea è un dialogo, un’interrelazione tra ciò che toccando vorrei realizzare, e ciò che realmente viene fuori. Fare esperienza con la creta su volumi, spazi, confini, forme, ha permesso di fare i conti con le proprie intenzionalità ma anche aspettative, dando vita ad una nuova forma, concreta e tangibile, alla propria realtà attraverso un manufatto, con-creta-mente di metterla fuori. L’oggetto creato è lì davanti a noi, come un rivelatore potentemente fisico di stati d’animo differenti, situazioni, ricordi. Il confronto con la materia, la possibilità di intervenire su di essa è inoltre un forte richiamo al momento presente: la percezione dei nostri sensi, in particolare il tatto e l’olfatto, amplifica la nostra percezione di stare presenti, concentrati, distaccandosi dai pensieri intrusivi. Tutta la preparazione del lavoro vede coinvolti attivamente i ragazzi che sistemano una zona della falegnameria creando spazi adeguati dove poter riporre le opere realizzate. C’è molto cura da parte loro (durante la settimana bagnano i manufatti per evitare che la creta si asciughi), sia prima che durante il lavoro, concedendosi tutto il tempo che ci vuole. C’è anche frenesia nel fare, nel dare vita all’oggetto, ma anche frustrazione quando sfugge al loro controllo la forma desiderata/immaginata. La funzione riparatrice ha messo alla prova alcuni di loro: la creazione della Nuraghe, a partire dalla struttura in ferro ad esempio, è stato un lavoro lungo, fatto di tanti passaggi, aggiustamenti. Più di una volta, dopo l’essiccazione, sono emerse delle crepe evidenti riparate con la barbottina, passaggio che ha richiesto un’attenzione, una pazienza e una cura incredibile. Durante gli incontri sono nati personaggi particolari, paesaggi, oggetti che hanno dato forma concreta e tangibile della propria realtà, permesso di metterla fuori: una forma concreta che abbiamo plasmato e che adesso è lì davanti a noi.
Mostra alberi
L’Albero ha rappresentato in ogni contesto storico e geografico il principio vitale, l’energia, il respiro, la rigenerazione. Collegamento tra la terra, da cui è nutrito e il cielo, verso il quale protende, è metafora della ciclicità della vita: non possiamo comprendere appieno le nostre emozioni senza considerare le nostre radici e le nostre esperienze passate. Allo stesso modo, i nostri risultati (i frutti) sono profondamente legati alla nostra forza e resilienza (il tronco). Per il suo potente valore simbolico, l’albero è da sempre stato uno dei soggetti prediletti dai grandi pittori fin dall’antichità. Molti sono i quadri famosi che lo ritraggono ed è proprio a partire da alcuni di questi che è stato chiesto agli ospiti della struttura di sceglierne uno, quello che sentivano risuonare maggiormente dentro di loro. La scelta di un albero ha di per sé raccontato molto del mondo emotivo di ciascuno, in quel momento. Alberi solitari, isolati, come quello dipinto di Friedrich, che si erge contro un cielo tempestoso, e la cui figura evoca sentimenti di nostalgia, riflessione, di una solitudine malinconica. Alberi tra le case con vista sul mare, come quello di Modigliani. Alberi dove il colore dà vita ad armoniose e lievi atmosfere oniriche e la composizione, in cui gli oggetti e le figure, pur essendo facilmente individuabili, ci fanno immergere in un’aura sognante ed evocativa, come quelli dipinti da Klee e Picasso. Alberi le cui linee si fanno contorte, tormentate, nervose all’interno di uno scenario essenziale e fortemente evocativo, fatto di toni non aderenti alla realtà, eppure espressivi, aspri, metafora della condizione dell’essere in una stagione, quella autunnale appunto, ritratti da Schiele.
A partire dal dipinto scelto, ai partecipanti non è stato chiesto di riprodurlo in maniera fedele all’immagine, bensì fedele a se stessi, come risuonava in loro, come, guardandolo lo vedevano, lo sentivano, lasciandosi “guidare” dai materiali, dai colori, dal gesto, dalle emozioni che arrivavano. Appoggiata ad un albero solitario, è stata disegnata una bici, espressione di un desiderio e di un bisogno, quello di riprendere appena fuori dalla comunità, una passione di cui si avverte la mancanza. Oppure di fianco ad un albero rigoglioso è stato posizionato un cartello con la scritta “vita”, quasi a voler indicare “una nuova direzione, una rinascita”.
Lavorando in piccoli gruppi per diversi incontri, gli uno non hanno visto l’albero riprodotto dagli altri. Da qui l’idea di allestire una piccola mostra all’interno della struttura, invitando ragazzi e operatori presenti. Siamo nel periodo post emergenza Covid. Lo spazio che scegliamo per allestire la mostra non è casuale: decidiamo, infatti, che ad accogliere i nostri alberi sia proprio la stanza che per un lungo periodo aveva ospitato le quarantene durante l’emergenza sanitaria. La solitudine, la paura, l’incertezza che questa emergenza ci ha lasciato addosso sono sensazioni difficili da digerire, che hanno necessità di un ricambio di ossigeno e di energia. Ridare vita a quel luogo è stato un respiro, una nuova linfa vitale; ritrovarsi finalmente insieme, seppur con la mascherina ancora indosso, proprio in quello spazio, poter godere di nuova energia e autentica bellezza.